mercoledì 12 febbraio 2014

Di ritorno dalla riunione di Torino sul bilancio al femminile delle giunte 50e50

di Laura Guidetti (Marea), Genova
Condivido con voi alcune riflessioni portate alla prima riunione, svoltasi a Torino, nell'ambito del progetto per una prima valutazione, da parte delle donne, delle giunte 50e50.
Il caso Genova: alcuni dati sociali e politici che non abbiamo saputo prendere in considerazione sotto la spinta della formula 50/50, più donne nelle giunte, che sembrava di per sé efficace per introdurre un cambiamento nella politica delle amministrazioni locali.
Parto da un pensiero di fondo, che il livello di emancipazione delle donne genovesi  medio alto. Hanno avuto un ruolo importante nella resistenza; numerose sono entrate a lavorare nelle fabbriche quando mancava la manodopera maschile; hanno inaugurato il calo demografico e continuano a mantenere un tasso di natalità tra i più bassi; a Genova si verifica il più alto numero di divorzi e nei matrimoni la scelta prevalente  per la separazione dei beni;  tra le città con un maggior numero di associazioni femminili, pur con pochissima integrazione fra loro.
Altri dati (tratti da Cambiare le parole per cambiare il mondo di G. Ruggeri): 1) da un sondaggio Abacus del '99: alle donne genovesi interessa parecchio meno che alle italiane se ci sono più donne in politica 2) da una ricerca del 2007 pubblicata da Leggendaria, dedicata alle posizioni apicali delle donne, a Genova le donne ai vertici di Enti e Istituzioni erano parecchie ma non se ne erano neppure accorte, men che meno avevano avuto l'idea di fare rete a vantaggio di tutte. 3) nello stesso periodo, da un altro sondaggio Abacus somministrato alle consigliere comunali, era emerso che nessuna di loro aveva cercato il voto delle donne in campagna elettorale; dichiarando di aver fatto ogni sforzo per essere considerate come persone.
Come era possibile, con queste premesse, aspettarsi il cambiamento solo attraverso un riequilibrio numerico tra uomini e donne nelle giunte e nelle assemblee elettive? Abbiamo scambiato la forma con il contenuto: era più facile affidarsi alla formula 50/50 piuttosto che entrare nel merito dei problemi della governance in periodo di crisi economica e sociale. Chi  intervenuta in modo critico, a partire dall'altra formula dominante il dibattito, quella della trasversalità,  rimasta ai margini, con una Snoq che occupava gli spazi mediatici coprendo le voci alternative. Ben presto però abbiamo visto eclissarsi tutte quelle candidate che hanno partecipato agli incontri per promuovere le donne nella politica, sia quelle elette che non (in contatto ne sono rimaste proprio poche): andava bene la vetrina elettorale ma poi  finita lì.
Non abbiamo così affrontato neanche l'aspetto relativo alla natura più autoritaria della governance, cioè allo svuotamento di rappresentanza e potere decisionale dei luoghi elettivi: tanto meno contano, tanto più le donne hanno accesso, ma per fare cosa? Con quali strumenti?
Il caso Genova così ha occupato le pagine della stampa locale subito dopo l'insediamento della nuova giunta Doria, quando la assessora al personale, cooptata sulla base del curriculum inviato per posta, ha detto di scegliere il part time in quanto a 35 anni non si poteva permettere di stare 5 anni fuori del mercato del lavoro, aggiungendo in una nota di colore che se fosse stata a Genova non sarebbe andata a votare. Abbiamo potuto apprendere dai giornali che quando era funzionaria in una asl di una regione del nord, aveva avuto parole di gradimento per il decreto dell'allora ministro Brunetta. In tante/i ne hanno chiesto la 'rimozione' ma il neo-sindaco non ha ascoltato queste voci, temendo forse di vedere sminuita la propria autorevolezza. Così ci siamo tenute una assessora buona per tutte le coalizioni, come il beige che va su tutto.
Più recente il caso della assessora ai servizi sociali, subentrata alla precedente che ha lasciato il posto senza tante spiegazioni: si  vista mettere in minoranza da una consigliera del PD la quale ha firmato e fatto approvare una mozione promossa dal PDL, volta a finanziare i centri di aiuto alla vita al fine di far calare il numero di IVG nella città di Genova. (pare che anche a La Spezia sia stata votata una mozione simile, mentre invece quando ci hanno provato in Regione non ci sono riusciti, anche per la presa di posizione di noi donne delle associazioni e della sinistra).
Per finire, a proposito della debolezza politica delle donne in giunta, l'assessora all'ambiente  stata recentemente 'costretta' a dare i dati in Consiglio sulla discarica di Scarpino, ovviamente con voci che superano enormemente la soglia di sicurezza: dopo quasi due anni la strategia politica era quella del tenere i dati nascosti per non dover affrontare il problema della spazzatura!
Da un recente sondaggio il sindaco Doria ha già perso il 15% dei consensi, calando al 76 esimo posto nella classifica di gradimento dei sindaci. Penso che questo lo si debba non tanto alla scarsa comunicatività e simpatia dell'uomo Doria, quanto al fatto di aver scontentato le/i molti che lo avevano votato credendo nel cambiamento (che avrebbe dovuto consistere anche nel liberarsi dai vincoli dei poteri forti della città, delle sue lobby e del PD) e nella politica dei beni comuni e della democrazia partecipativa: ricorderemo il sindaco per essersi chiuso in Consiglio, con i carabinieri sulla porta a tenere fuori i dipendenti di AMT, AMIU e ASTER, che protestavano contro la delibera che prevede aumenti di capitale con ingresso dei privati, spacchettamento delle aziende e altre partite di giro che elimineranno l'incidenza della mano pubblica sulle aziende di interesse pubblico (trasporti, rifiuti, manutenzioni). E su questo terreno, dove si gioca un pezzo importante del futuro della città, il silenzio delle donne elette  stato assordante. Ma c' stato anche il nostro silenzio, come donne delle associazioni e della Rete di donne per la politica, nata per sostenere Doria alle primarie e poi alle comunali. Proposta come lobby finalizzata alla elezione del sindaco, ci siamo dette che eravamo abbastanza mature per proporci come un soggetto politico interlocutore della giunta nei 5 anni del suo mandato e così abbiamo continuato a vederci tra noi (perdendo qualche pezzo; mantenendo un precario equilibrio di rapporto con snoq fatto di concorrenza e collaborazione su iniziative specifiche; incontrando alcune assessore di regione comune e municipi senza però riuscire a dare a questi incontri continuità e prospettiva).
Per alcune era chiaro che la nostra proposta di partecipazione ai processi di cambiamento era legata al fatto che anche a Genova nasceva una giunta arancione - c'era quindi una discontinuità con la gestione del PD che per lunghi anni era stata egemone - meno chiaro come concretizzare la democrazia partecipata. Ci aspettavamo che le stesse assessore ci facessero delle proposte, cosa che non  avvenuta. Del resto per tanto tempo avevamo vissuto secondo pratiche concertative e clientelari e non ne siamo del tutto ancora uscite: clientelari per me significa che siamo state, anche se in modi diversi, quelle che andavano dalle assessore a chiedere soldi per i nostri progetti e per alcuni anni questo ha funzionato (con alcune che hanno ottenuto più o meno di altre, sulla base della maggiore o minore vicinanza al partito/clan); concertative invece, nel senso che essendo per lo più la sinistra nella maggioranza, bastava dire a chi ci era più vicina di alzare il telefono e chiedere l'incontro con l'assessore di turno e subito si accedeva a tavoli dove far sentire le nostre posizioni.
Questo anno, ad esempio, si  interrotta l'interlocuzione con l'assessore regionale alla sanità, un tempo più disponibile, e siamo rimaste al passo, senza strumenti efficaci di pressione, schiacciate tra il vano moderatismo dei passaggi istituzionali e il vuoto radicalismo di chi diceva "okkupate gli spazi".
D'altro canto, siamo state riconosciute come un soggetto dal Municipio del centro che ha promosso un bando per l'uso di locali nello stabile del Centro Provinciale di Accoglienza, bando che abbiamo vinto e siamo in attesa della consegna delle chiavi. Ovviamente dovremo pagare un affitto e dovremo autofinanziare le iniziative e questo  un percorso tutto da costruire.
In conclusione, se un prodotto di questa giunta c' stato,  proprio quello della Rete di donne, ma serve il confronto e l'esperienza delle donne delle altre città per poter maturare ed essere in grado di misurarci con il pensiero unico di queste giunte, che in nome dei bilanci privatizzano e disattendono le aspettative del cambiamento.
Qui il resoconto completo dell'incontro.

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